Caserta piange e saluta un pezzo di storia: oggi pomeriggio l’addio a Giovanni Gavignin



Giovanni Gavagnin
Giovanni Gavagnin

Se ne è andato cosi come aveva vissuto: in silenzio e con discrezione. Se ne è andato con il ricordo di chi l’ha voluto bene, tra le lacrime dei propri cari e di chi grazie a ventotto metri di campo ed una palla a spicchi era diventato la sua famiglia. Senza tanto clamore, ma con la consapevolezza di aver lasciato un vuoto incolmabile in tanti cuori che non dimenticheranno mai il tono di voce da burbero, ma l’animo nobile e gentile che solo un ‘gigante buono’ può avere. Il basket perde un’altra stella, Caserta perde un’altra stella della palla a spicchi, una stella che alzando gli occhi brillerà al fianco di tante altre che solo materialmente non saranno più al fianco di chi alzando semplicemente gli occhi non lo dimenticherà mai, Giovanni Gavagnin.
«E’ difficile anche solo credere ad una notizia del genere – le parole tra dolore e qualche lacrima di Massimo Riga che dalle Pantere al Kalati ha avuto l’onore ed il piacere di averlo al proprio fianco non solo come uomo ed amico, ma anche come professionista -. Era una persona speciale della quale non posso non avere dei grandi ricordi oltre un legame speciale e particolare. A partire da quando sono venuto a Caserta alle Pantere ed ho avuto l’onore di averlo come mio assistente. Già proprio così. Io che non potevo allenare ed ero costretto ad andare in tribuna e lui in panchina a dirigere il tutto per una idea un po’ strana del presidente Navas. Un qualcosa che ancora oggi faccio fatica a ripetermi ripensando alla domanda che feci al momento di accettare l’incarico: un mostro sacro come assistente di uno qualsiasi venuto per dirigere la squadra. Non so quanti altri allenatori e personaggi del suo calibro e della sua carriera avrebbe potuto accettare una situazione del genere. Tutto questo è la nitida dimostrazione della persona che era Giovanni, una persona semplice. Una persona che all’apparenza poteva sembrare burbera, ma che aveva un cuore d’oro. Da quando l’ho conosciuto l’ho sempre chiamato e continuerò a chiamarlo l’essenziale. L’essenziale perché quello che tu potevi dire in un’ora lui era capace di sintetizzarlo al massimo in una ventina di minuti. Da quando sono venuto a conoscenza della triste notizia, non ho fatto altro che rivedere e rileggere gli appunti che mi lasciava quando guardava gli avversari e preparava le partite e l’unica cosa che mi viene in mente è che si tratta di un venerabile maestro e non so quanti altri allenatori hanno e potranno avere nella loro carriera di aver avuto a fianco una figura ed una persona come io ho avuto con Giovanni Gavagnin. L’ho visto per la prima volta con la tuta di raso dell’Ignis Varese, me lo sono ritrovato a fianco come uomo e come allenatore e la semplicità e la bontà sono i ricordi più belli». Altrettanto commossi Chicco Palmisani l’ultimo dei tre componenti di uno staff tecnico che al Kalati ha fatto la storia del basket maddalonese: «Era e resterà un manuale della pallacanestro. Una persona semplice e di una umiltà senza eguali. Potevi guardarlo e pensare che si trattava di un uomo introverso o burbero, ma alla fine scoprivi che era una persona buona ed anche spiritosa, specialmente quando ci avvicinavamo al nord nelle nostre trasferta. Salire verso la sua terra natale lo rinvigoriva e ti lasciava sempre a bocca aperta con battute disarmanti. Una persona speciale, una persona che porterò sempre nel mio cuore e il suo muoversi in campo anche a settant’anni era uno spettacolo di pallacanestro». Ne seguiva le indicazioni in campo e fuori, Marica Gomes, che non è voluta mancare per nessuno motivo all’ultimo saluto di un uomo che l’ha accolta nella sua famiglia e nella sua vita come una figlia: «Era la mia guida. Avevo con lui un rapporto speciale. Mi ha sempre preso sotto la sua ala protettrice e dato dei consigli fondamentali e rimessa in riga quando sbagliavo qualcosa in campo. Gli volevo un bene dell’anima e lui ne voleva a me e questa era un cosa palese. Era sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Era l’esempio della precisione, della professionalità e della bontà più assoluta. Non potrò mai dimenticare il giorno al Kalati quando la maggior parte delle ragazze erano ammalate eravamo in cinque agli allenamenti e lui con tanta gioia e disponibilità giocò una partita con noi di tre contro tre. Era come un secondo padre».




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