Esposito: “Finalmente posso tornare a casa”



Enzo Esposito qualche settimana fa al Palamaggiò (Foto Buco Juvecaserta.it)
Enzo Esposito qualche settimana fa al Palamaggiò (Foto Buco Juvecaserta.it)

«Ah, mama mia el Diablo, ah, ariba ariba el Diablo, ah, mama mia el Diablo…». Dopo mesi e mesi trascorsi in uno studio di registrazione, dal 23 di novembre del 1990 questo è stato uno dei testi più cantati dei Litfiba. Già il 1990 e ‘El Diablo’. Due elementi che per gli amanti del genere rock tricolore guidato da Piero Pelù, stabiliti in terra casertana volevano dire anche e soprattutto ben altro: anno dello scudetto e Vincenzino Esposito (che nel periodo di uscita dell’album e della stessa canzone aveva appena segnato 17 punti nella vittoria casalinga contro Varese e 11 nella sconfitta del 25 di novembre a Cantù). Enzo per gli amici, ‘El Diablo’ per tutti gli addetti ai lavori che seguivano la palla a spicchi e che gli avevano affibbiato questo nomignolo per il modo in cui giocava in canotta e pantaloncini. Da quel 1990 e quella stagione agonistica 1990/1991 – conclusasi per uno con la vendita di 400.000 copie lanciando in auge il gruppo fiorentino e con la vittoria dello scudetto della Phonola di coach Marcelletti che resta ancora oggi l’unico tricolore vinto da una squadra professionistica di pallacanestro sotto la capitale – sono passati ormai più di venti anni, sono passati altri successi personali, cambiamenti, pagine voltate, riprese e poi rivoltate ancora. Ma il segno che si lascia quando si fa qualcosa di importante non si dimentica mai. Ed allora cosi ancora oggi ‘El Diablo’ dei Litfiba è una traccia non ‘morta’, in egual modo il nome di Enzo Esposito resta e resterà sempre una luce ed un bagliore nel firmamento del basket di Terra di Lavoro. Ma se fino a poco tempo fa il bagliore in questione arrivava solo di riflesso attraverso la gigantografia della numero 6 issata al soffitto del Palamaggiò a breve la luce sarà diretta. L’interruttore per accendere i riflettori sulla questione è stato alzato ufficialmente nei giorni scorsi dalla proprietà e giemme Atripaldi: Enzino Esposito sarà una parte importante della prossima Juvecaserta. Un’ufficialità che non è ancora del tutto ufficiale e scusata il gioco di parole, cosi come dice lo stesso ‘El Diablo’ che ci spiega perché: «Ufficialmente c’è il benestare da ambo le parti di sedersi ad un tavolino e di trattare definitivamente questo mio ritorno a Caserta. Al momento il crisma dell’ufficialità è legato a questo dettaglio, ma posso assicurare che il passo da qui all’ulteriore ufficializzazione è quasi inesistente».
Quindi cosa dovrebbe riguarda?

«Ovviamente si parlerà del ruolo all’interno dello staff tecnico della prima squadra, la posizione in altri settori, tutte cose che si potranno analizzare e commentare meglio quando saranno ovviamente ufficializzate. Quindi al momento tutto questo non ha importanza quello che importa è la contentezza di poter finalmente parlare di un mio ritorno a Caserta».



A volte si dice che è difficile essere profeti in patria. Quello Enzo Esposito è il primo ritorno ufficiale a ‘casa’ di un casertano scudettato dopo Franco Marcelletti. In generale è cosi difficile tornare dove si è stati un’icona?

«Sinceramente non so se sia cosi difficile, ma di sicuro serve la disponibilità e l’apertura da ambo le parti per poter parlare ad un ritorno. Fino ad ora la Juvecaserta aveva sempre fatto altre scelte e dopo tanti anni, precisamente dal 1992, questa condotta nella scorsa stagione da Iavazzi,. Barbagallo e Atripaldi, è stata la prima vera opportunità di tornare a Caserta».

Nelle ultime interviste sia Atripaldi che Barbagallo hanno parlato di Esposito in maglia Juve. Quindi saresti tornato prima da giocatore e poi da allenatore?

«I contatti erano iniziati a stagione in corsa e lo staff tecnico era già costruito quindi se fosse stato fattibile, lo sarebbe stato solo da giocatore».

Lo hai fatto ad Imola dopo tanti anni dall’ultima volta e quindi la curiosità è questa: riuscirà mai Enzo Esposito a sopire l’anima di ‘El Diablo’ giocatore?

«A dire il vero è tornata a vestire canotta e pantaloncini – commenta sorridendo – solo perché ad Imola erano in grande difficoltà e volevo dare una mano, ma ormai ho chiuso con il basket giocato da quattro anni e quindi ora mi concentro a fare solo l’allenatore». 

Sei stato un giovane talento a cui è stato dato subito la possibilità di essere in campo. Nella tua carriera di allenatore ci hai provato a fare lo stesso con altri, cosa deve cambiare per una crescita del basket giovanile e quindi un aumento di talenti nostrani?

«Di sicuro la cosa che frena è da una parte il materiale a disposizione e quindi il talento da far esordire in campo, dall’altra parte c’è forse la paura di puntare sui giovani e la mancanza di quella pazienza necessaria affinché gli stessi possano crescere nella maniera giusta. Il giusto mix? Ovviamente il materiale a disposizione in termini di atleti e mini atleti, ma soprattutto di quello in termini di staff per far crescere nella giusta maniera i giovani e prepararli verso il basket giocato».


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