Juve, una prova d’appello generale



Coach Molin (Foto GIuseppe Melone)
Coach Molin (Foto GIuseppe Melone)

Cinque giorni di lavoro, cinque giorni per pensare con cinque notti in cui attendere consigli, prima di preparare quella che sarà definitivamente la partita della verità. Cinque giorni dopo essersi presentato, nervoso, arrabbiato ed amareggiato contemporaneamente, coach Lele Molin sarà di nuovo questo pomeriggio davanti alle telecamere ed ai giornalisti per provare a raccontare una settimana difficile, soprattutto a livello mentale per tutto quello che è accaduto, ma soprattutto per analizzare nei minimi dettagli il prossimo avversario: la Sutor Montegranaro. Una conferenza stampa dove inevitabilmente si passerà al vaglio i postumi della sconfitta contro Brindisi e di tutte le certezze che sono cadute contro i pugliesi, ma soprattutto per frutto ed opera dei cinque ko consecutivi. Un processo di crescita tecnica basato sul miglioramento del gioco di una squadra costruita senza ombra di dubbio con quello che c’era di meglio sul mercato in base anche alle disponibilità economiche della società, ma che aveva un punto forte da poter e dover sfruttare come arma segreta fino a che questo processo non fosse stato completato: atletismo, fisicità e corsa. Tutti elementi ben raffigurati nei suoi interpreti, considerando che Stefhon Hannah è un classico cavallo da corsa – a volta anche imbizzarrito – e che sa vedere con una sorta di terzo occhio nascosto compagni ovunque in contropiede ovvero quando l’azione si svolge a ritmi al di sopra della media. Elementi ben raffigurati in una coppia di atleti di indubbio valore come Roberts e Moore. Il primo un esterno che dell’esplosività fa la sua arma se non unica, ma principale, il secondo un lungo filiforme che corre il campo e viaggia ad altezze siderali sopra il ferro anche per giocatori di tasso tecnico non indifferente. Uil tutto contornato dalla stessa fisicità, atletismo di Brooks che aggiungeva l’esperienza italiana e di Scott che invece portava il tiro dalla lunga distanza come dote. Tutto questo solo per parlare di chi con un passaporto a stelle e strisce,. Doveva essere una sorta di colonna portante da affiancare a quella della saggezza e dell’esperienza assoluta di Mordente e Michelori e ben cementare dalla voglia di fare, di mettersi in mostra e dal talento di Vitali e Tommasini. Tutto bello, però, fino a che è durato. Tutto ha funzionato alla perfezione per tre settimane in campo, mentre in palestra lo staff tecnico continuava a lavorare profondamente su quella parte del gioco che necessariamente doveva essere sviluppata, quella a metà campo, perché consapevoli che prima o poi questo periodo sarebbe arrivato inesorabilmente. Ma il tempo ed un livello di campionato italiano forse un gradino superiore nel suo insieme rispetto alle ultime edizioni, hanno mandato all’aria il programma bianconero. Già perché come ha avuto modo di dire lo stesso Molin, il campo ha dimostrato che il processo di crescita tecnica intesa come aggiunta di gioco a metà campo ordinato e con soluzioni ragionate e dettate da letture della difesa per una squadra come la Juve, è molto più lungo. Ad inceppare l’ingranaggio, forse, il livello di età media della squadra ovviamente se si esclude il duo Mordente e Michelori. Troppo giovani da un lato e quando la carta di identità sale di tono, proporzionalmente sale anche il livello di inesperienza a ritmi, fisicità e situazioni tattiche di un campionato che ne presenta sempre di diverse ad ogni domenica. Ed allora ecco arrivare le sconfitte in fila. Si parte da quella di Milano dove però la grande partita giocata dai bianconeri ha gettato un po’ di fumo negli occhi non solo per chi guardava da fuori, ma probabilmente anche per chi era all’interno giocatori compresi. La batosta in quel di Reggio Emilia è stato un campanello d’allarme si, ma attenuato da quanto era successo nella settimana di avvicinamento a Stefhon Hannah. Poi le sconfitte con Roma, Avellino e dulcis in fundo Brindisi. Tre sconfitte filate con un unico denominatore: la scomparsa della squadra dal punto di vista mentale e di concentrazione quando gli avversari hanno alzato il ritmo e la pressione in campo. Tre partite in cui la Juve è stato due facce estreme della stessa medaglia, tre partite in cui la ‘rumba’ finale – cosi come l’ha definita anche Marco Mordente – ha reso meno pesante dal punto di vista del punteggio, quello che dopo cinque settimane, invece, è diventato un peso insostenibile. Talmente insostenibile da far eruttare anche una persona pacata e che era stato definito da tutti gli addetti ai lavori bianconeri come la persona più tranquilla in questo momento. Un segnale, quest’ultimo, che non poteva non essere considerato dalla presidenza e dal giemme stesso ed allora ecco la scelta: si cambia rotta, ma non a Montegranaro. In che direzione? Ancora non è dato sapere, considerando che il tutto va valutato in base a quanto offre il mercato sia in termini economici che di talento. Cambiare per il puro e semplice gusto di farlo per poi ritrovarsi a masticare lo stesso boccone amaro, di sicuro non piacerebbe alla Juve e al presidente Iavazzi. Ed allora in questo momento il cammino della Juve è fermo al classico bivio delle scelte. Fermo a motori spenti in attesa che la stessa partita di Montegranaro dia l’indicazione giusta da seguire nel cambiamento e le frecce con su indicazioni, stando anche a radio mercato, sono quelle che portano su impressi i nomi di Stefhon Hannah, Chris Roberts e Carleton Scott. Come e chi andrà via e come e con chi rimpiazzarli, lo deciderà solo il responso del campo a Porto San Giorgio e non in termini di risultato, ma in termini di prestazioni e di risposta a quanto accaduto da domenica scorsa.




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