Molin assolve la Juve: “Abbiamo dato il massimo, non potevamo fare di più”



Coach Molin (Foto Giueppe Melone)
Coach Molin (Foto Giueppe Melone)

«Durante la settimana e prima della partita, avevo chiesto ai miei giocatori di dare tutto quello che avevano per un solo motivo: uscire dal Pala Del Mauro nel giorno del derby senza rimorsi e senza tutti quei punti interrogativi che ti fanno pensare. Alla fine credo che non posso dire nulla. Abbiamo dato tutto quello che potevamo e quindi va bene cosi». Contento, senza rimorsi, ma comunque con una sconfitta sulle spalle. Esordisce cosi il timoniere della Juve davanti ai media nel post derby, Lele Molin, che forse davvero non poteva chiedere di più ad una squadra che ancora una volta ha dimostrato di poter dare il massimo quando riesce ad entrare all’interno della sua unica dimensione, quella della transizione, e di faticare enormemente quando si tratta di ragionare. Ad Avellino probabilmente è avvenuto anche di più. Paradossalmente in alcune occasioni, forse, si voluto ragionare troppo perdendo secondi preziosi in un attacco controproducente e che ha avuto come unico effetto quello di far chiudere e preparare ancora di più la retroguardia biancoverdi. Emblematiche le situazioni in cui i palleggi di Hannah divenivano quasi asfissianti nel tentativo di aspettare il corretto posizionamento dei compagni nell’iniziare il gioco oppure l’esitazione di alcuni giocatori, vedi Moore, che in punta e con il pallone in mano hanno guardato poche volte il canestro per provare a passarla ad un compagno che intanto provava a liberarsi. Azioni sporadiche all’interno di un conflitto tra il correre ed il ragionare che ormai sta diventando sempre più imponente all’interno della ‘coscienza tecnica’ dei bianconeri. Un conflitto non certo alimentato dal coach, con Molin che tutto vorrebbe tranne vedere la propria squadra fare fatica a difesa schierata, senza contare i suoi tanti incitamenti a correre con simbolico gesto della mano ad ogni rimbalzo catturato, né voluto dalla squadra, ma imposto – ovviamente – dagli avversari. L’unica buona notizia è che in mezzo a questo conflitto, in mezzo alle azioni precedentemente indicate, ci sono anche degli sprazzi in cui Caserta corre e trova lo spettacolo, il canestro facile e ad alto coefficiente di realizzazione insieme, nonostante tutto e tutti. E’ capitato nel primo quarto di Reggio Emilia, è capitato contro Roma ed è capitato anche contro Avellino. Poi, ovviamente, la differenza la fanno i canestri, le percentuali e gli adeguamenti. Tutte indicazioni, queste ultime, che sulla lavagna del derby bianconero non sono state certo nella parte contrassegnata con il segno positivo. Da mangiarsi le mani i liberi sbagliati da giocatori che in genere sono molto più che precisi dalla linea della carità (11/21 con 3/6 rispettivamente per il duo Mordente-Hannah e 1/3 di Moore), dalla bocca alla testa il passaggio delle mani quando si parla di percentuali, con i numeri in questo caso che cono se non tutto, la maggior parte: 5/21 da tre, 27/63 dal campo e 39 a 29 il conto dei rimbalzi. Dulcis in fundo gli adeguamenti. Quello più importante che gli avversari effettuano in corso d’opera riguarda il difensore incaricato di marcare Roberts. La sua condizione fisica non gli permette di essere un ‘osservato speciale’, ma un giocatore ‘comunemente’ pericoloso e lasciando al difensore il vantaggio di qualche metro occupando spazio vicino al canestro o magari aiutando sugli esterni. La netta dimostrazione è arrivata quando con tutto l’orgoglio di cui è dotato, il texano è andato oltre il dolore ad ambo i piedi e per un attimo è tornato a volare creando scompiglio tra le linee difensive di Avellino. L’altro ovviamente riguarda Moore. Troppe volte sfidato al tiro e troppi i passi indietro del diretto marcatore a proteggere l’area. Il lungo americano ha dimostrato anche di avere un discreto tiro dalla media distanza, ma non ancora abbastanza fiducia nel prenderlo con continuità per costringere gli avversari ad avvicinarsi lasciando qualche spiraglio in più per i tagli o 1vs1 dei compagni. Ma tutto questo non lo scopriamo certo oggi e non certo oggi si proverà ad aprire un processo, anche perché la difesa potrebbe presentare a propria discolpa il sudore buttato sul parquet dai bianconeri fino alla sirena finale, le rimonte fatte di voglia, grinta e difesa arrivando poi a quei punti dove poi la differenza la fanno il cinismo dell’esperienza che in questo caso di specie è stato rappresentato da Dean e Lakovic senza le cui triple, forse ora staremo parlando di un altro finale di derby. Ed allora di tempo Molin e la sua truppa ne hanno a disposizione per fare dei passi in avanti e fa bene il timoniere mestrino a cogliere almeno il alto positivo: «Sono contento – ha continuato nella propria sala stampa – perché siamo riusciti a mettere in difficoltà una squadra come Avellino che è molto più equipaggiata di noi. Sono contento perché nonostante tutti gli errori siamo arrivati ad un possesso di distanza dove la tripla di due giocatori che fino a quel momento non avevano certo entusiasmato, come Dean e Lakovic, hanno fatto la differenza. Sono contento perché abbiamo avuto in più di un’occasione abbiamo avuto anche la possibilità di piazzare la zampata per portarla a casa. E tutto questo l’abbiamo fatto mettendoci impegno e da questo proviamo a ripartire».

Quanto hanno pesato ancora una volta i numeri?



«Hanno avuto la loro incidenza, specialmente nella voce dei tiri liberi. Questo, infatti, è l’unico rammarico specialmente per quelli sbagliati da giocatori come Hannah e Mordente che di solito non ne sbagliano molti. E poi i rimbalzi. Sapevamo che Avellino è una squadra molto efficace da questo punto di vista specialmente in quelli offensivi con Ivanov molto bravo in questo e la dimostrazione sono stati quei due-tre extrapossessi che abbiamo subito nel secondo tempo».


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