I quarant’anni di Camorani: “Il calcio è la mia vita. Con tanti sacrifici ho condotto una bella carriera. Del Piero mi ha lasciato…



Alfonso Camorani contrasta Kakà

RECALE – Quarant’anni e non sentirli. Lo scorso 21 febbraio Alfonso Camorani ha spento quella candelina che, di solito, accompagna il periodo post carriera dei calciatori. Invece lui no. Dopo l’annuncio di dare l’addio al calcio nell’estate del 2017, è stata troppo forte la tentazione di non mettere la parola fine ad una carriera costellata da tanti successi ed enormi soddisfazioni ed ha scelto di proseguire. La vita calcistica di Alfonso Camorani si può paragonare ad una piramide. Dalla partenza dal primo gradino nei dintorni di Napoli alla conquista, passo dopo passo, della vetta della Serie A. Alfonso ha compiuto una scalata incredibile ed ha toccato l’apice per un calciatore. Poi, senza mai perdere la passione e la voglia in campo, ha deciso di scendere di categoria, quando ha ritenuto opportuno che quella fosse la scelta migliore.

LA PASSIONE. Qualsiasi sia il campionato disputato, che sia Serie A, B, Eccellenza e Promozione, Alfonso Camorani ha sempre dato tutto per le piazze. Una caratteristica di guerriero che l’atleta classe ’78, originario di Cercola ma trapiantato da anni a Recale per motivi familiari, ha confermato dappertutto, apprezzato dai tanti tifosi che lo hanno osannato e che lo continuano ad osannare. Ed ora che son quarant’anni, egli non ha alcun intento di smettere: “La voglia di scendere in campo è sempre al top. Nella mia carriera, il mio corpo non ha mai avuto problemi fisici, quindi fino a quando ho gli stimoli continuo”.



IL RIPENSAMENTO. Eppure nell’estate del 2017 qualcosa lo ha indotto ad appendere le scarpette al chiodo. Ma è bastato qualche giorno con quel magone che subito è avvenuto il ripensamento: “In estate sono stato un mese senza campo ma non ci sono riuscito a dire basta. Mi mancava lo spogliatoio. In quel periodo neanche un secondo ero fermo, infatti andavo sempre a correre. Inizialmente forse ho preso una decisione affrettata, deluso dai playoff persi con la Nuova Ischia. Ho riflettuto, così testa, gambe e cuore mi hanno detto di continuare. Io sono il classico calciatore che di figuracce non ne vuole fare. Ho un nome ed ho fatto una buona carriera, quindi se ho deciso di continuare è solo perché sono integro fisicamente. C’è stata la possibilità di andare a Saviano in Prima Categoria, anche se mi avevano chiamato altre piazze. La società è piena di gente per bene, lì manca veramente il calcio. Stiamo facendo un bel campionato perché Saviano merita di tornare a calcare altri palcoscenici e fino all’ultimo proveremo a salire in Promozione”.

IL RIMPIANTO CASERTANA. Alfonso è schietto, ti dice in faccia le cose, senza peli sulla lingua. E racconta uno degli aspetti che più di tutti gli hanno fatto male: “Ho smesso presto nei professionisti, perché a 31 anni, quando ero a Pescara ed ero legato con un contratto per altri due anni, chiesi la rescissione per andare a giocare con la Casertana. Era il 2010-2011, è stata una scelta di vita perché per me indossare la maglia della Casertana era importante, essendo stato adottato da Recale. Ero molto affascinato dalla piazza, ma incredibilmente il legame si è interrotto dopo due mesi. L’ho fatto col cuore a 31 anni, nonostante in quell’estate ho ricevuto richieste dalla Serie C. Allora mi è piovuto il mondo addosso. Solo un pazzo poteva lasciare un contratto, ma l’ho fatto solo per la Casertana. Sposai il progetto dell’allenatore Enzo Feola che venne esonerato ed andammo tutti via”.

L’INIZIO DELLA SCALATA. La voglia di emergere ha sempre accompagnato la vita del calciatore che rivela la sua ascesa da dove è partita: “Nel 1996 avevo diciotto anni e giocavo nel settore giovanile dell’Avellino. Ad un certo punto il presidente Sibilla decise di mandare via tutti i giovani classe ‘78, negandoci la possibilità di sottoscrivere il contratto. Dopo cinque anni di Avellino, siamo rimasti letteralmente a piedi io ed altre promesse come Vincenzo Moretti e Pasquale Mezzacapo. Io andai a Giugliano e persi il campionato col Campobasso. Mi adocchiò la Ternana che mi acquistò e da lì ho iniziato a salire di categorie”.

I SACRIFICI. Giocare a calcio lo ha obbligato a prendere decisioni importanti per il suo futuro: “Nella mia carriera nessuno mi ha regalato niente. Ho lasciato la scuola perché era impossibile andare avanti ed indietro ogni giorno ad Avellino. La mia non era famiglia forte, per cui ho dovuto fare tanti sacrifici e sforzi, con quel pizzico di fortuna che serve non solo per giocare a calcio ma anche per fare qualsiasi lavoro. Il calcio è per me un lavoro che devi curare. Devi evitare tante cose se vuoi arrivare in alto. Anche se adesso è molto cambiato. Solo in Serie A è calcio vero. I soldi sono finiti in tutte le categorie, se rimani in scadenza hai smesso. Purtroppo i tanti stranieri e gli under stanno creando problemi. Io sono dell’idea che un giovane, se è bravo deve giocare, non che è obbligato a giocare. Faccio l’esempio di un ragazzo ’99 che seppur bravo, quando esce dall’età da under, viene penalizzato dai 2001, 2002 e 2003. A mio avviso servono regole diverse”.

ZEMAN ED IL RAPPORTO CON GLI ALLENATORI. In oltre venticinque anni di carriera ad alti livelli, costellati dai tre campionati vinti in carriera con Lecce, Fiorentina ed Afragolese, diversi allenatori sono stati decisivi per la sua crescita: “Ognuno mi ha dato tanto, da Delio Rossi a Pioli fino a Di Canio. Ognuno mi ha lasciato qualcosa, sono ottime persone che mi hanno dato tanto e mi hanno lasciato un segno. Era un’epoca in cui crescevo con gente come Mirko Savini, Fabrizio Miccoli, Giacomazzi, Vives, Chevanton, Babù, Antonio Maschio. Più di tutti ha creduto in me Zdenek Zeman. Avevo 21 anni e mi venne a prendere che giocavo nelle categorie minori per portarmi a Lecce. Lui è fatto così, andava in Serie C2 e D e prendeva i giovani che reputava utili. Come me arrivarono Fabio Vignaroli, Carlo Cherubini, Gennaro Sardo. “Mister Zeman” è una grande persona che punta sui giovani e mi ha permesso di fare una bella carriera”.

I RICORDI. Tante le emozioni vissute nel campo di calcio, che si porterà appresso per sempre: “Il ricordo più bello è il goal della promozione col Lecce. A cui segue l’esordio in Serie A a Palermo, davanti agli oltre 40mila spettatori presenti allo stadio “La Favorita”. Nell’allora squadra di cui faceva parte Fabio Grosso, perdemmo 1-0 con il goal di Luca Toni. Tutte le piazze le porto nel mio cuore, soprattutto Lecce e Salerno. La mia seconda casa è Firenze, con cui ho vinto il campionato. In carriera ho condiviso lo spogliatoio con gente come Verratti, Vucinic, mentre da avversario ho affrontato tutti, da Del Piero a Totti fino a Trezeguet. Mi ha lasciato qualcosa ogni personaggio della storia del calcio mondiale. Quelli che più mi hanno impressionato sono stati Pirlo e Kakà. Come uomo senza dubbio Alessandro Del Piero, persona straordinaria. Prima di giocare gli chiesi la maglia a fine gara, però venni espulso ed uscì anzitempo. Lui venne nello spogliatoio e mi diede la sua numero 10. Una persona di una umiltà che, di certo, non la scopro io”.

DILETTANTISMO AD ALTI LIVELLI. Una fetta importante della carriera di Alfonso Camorani è stata vissuta nel panorama dilettantistico, di cui è un idolo incontrastato. Dopo aver toccato la cima della piramide è sceso ma senza mai perdere il suo carattere e la sua personalità, fuori e dentro al campo: “Con l’Afragolese ho vinto il campionato in Promozione mentre con la Sessana e la Virtus Carano ho sfiorato il salto in Serie D. L’esperienza di Sessa Aurunca mi ha dato tanto. E’ stato un anno e mezzo bellissimo. Siamo andati vicini alla promozione e ci siamo tolti grandi soddisfazioni. E’ un peccato che il presidente Vrola ha poi abbandonato. Mi piange il cuore nel pensare che la città resti senza calcio ma vedo che, con tanti sacrifici, ci stanno provando. Ora la vita è molto dura, perché devi trovare un presidente che ama il proprio paese e che deve fare molto investimenti. E’ logico che ogni persona si deve fare anche due calcoli, prima di intraprendere una strada del genere”.

LA CRITICA COSTRUTTIVA. Non mancano, da parte del calciatore che a Salerno fu soprannominato Duracel perché non si fermava mai, le critiche verso i giovani attuali: “All’epoca, da ragazzo, entrai nello spogliatoio e chiesi dove potevo spogliarmi. Adesso i giovani non se ne fregano niente, hanno il telefonino e facebook e credono di avere tutto. Non vengono all’allenamento con quella voglia. Gli altri non se ne fregano che sei Dino Fava Passaro od Alfonso Camorani. Anche loro si sentono giocatori, non conoscono la parola sacrifici. Lo vedo con i miei figli, i giovani di oggi non hanno fame. E’ vero che basta qualche difetto per non farti salire, come l’altezza o la fisicità, ma molti non hanno la testa. Bisogna divertirsi ma ci vogliono sacrifici. Il sabato non si deve uscire, bisogna evitare tante cose che al momento pochi ragazzi decidono di fare”.

L’AMAREZZA. Da diversi anni l’ex atleta del Siena e del Lecce ha creato una scuola calcio, dal nome A.S.D. Alfonso Camorani Recale, che però non può condurre sulla struttura cittadina e questo lo mortifica: “Con la scuola calcio sono appoggiato da tre anni alla struttura Tdl di Marcianise. Ringraziare il presidente Giulio Buonpane e Stefano Imparato, senza di loro non avevo un campo. Purtroppo non so il motivo per cui in tutti i paesi ogni calciatore ha la sua struttura mentre, da cittadino di Recale, non mi hanno dato l’opportunità di giocare nella mia città. Mi piange il cuore, perché ho un bacino di ragazzi di Recale che mi segue, nonostante abitino a 50 metri dal campo. Spero che un domani le cose si aggiusteranno”.

LA SUA CASERTANITA’. In conclusione l’atleta si sofferma sull’aspetto casertano, confermando quanto si senta legato alla provincia che lo ha adottato: “Dal 1992 abito a Recale, nonostante abbia la residenza a Colle Val d’Elsa in provincia di Siena. Vivo ed ho il domicilio a Recale perché, malgrado mi sia separato dalla mia ex moglie, vivo con i miei figli. La domenica vado a veder la Casertana, società per cui, nonostante ho giocato poco, sono un grande tifoso. Spero che la Casertana si salvi, ha tutte le carte in regola per farlo. Da parte mia le porte sono aperte per qualsiasi esperienza. Ci sono tre club di Serie B, che mi hanno chiesto di fare l’osservatore in Campania, ma fino a quando non c’è nero su bianco, non spiffero niente. Sono fatto così”. Umiltà e concretezza di un ragazzo che si è creato da solo, masticando il calcio con quella passione e grinta che lo contraddistingue in campo. E che a quarant’anni non ha alcuna voglia di smettere, perché il calcio è la sua vita.


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